Difficoltà tecnica: |
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T |
Quota massima: |
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626 m. (cresta garganica) |
Quota minima: |
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515 m. (parcheggio auto) |
Durata A/R: |
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5 ore circa |
Lunghezza: |
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7 Km. |
Pranzo: |
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al sacco |
Acqua: |
si consiglia di portare almeno 1,0 litro: non è possibile rifornirsi lungo il percorso. |
Attrezzatura necessaria: |
scarponcini da trekking (obbligatori), abbigliamento a strati da montagna, giacca a vento, bastoncini da trekking (consigliati). |
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Responsabili: |
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Giusi De Palo 339.6796167 - Roberto Lavanna 338.4768024 |
Appuntamento: |
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ore 8:20 ore 8.20 di fronte al Caffè dell’Alba - Partenza: ore 8.30 stesso luogo
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Tempi di percorrenza stradale: |
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circa 70 minuti da Foggia. Viaggio di trasferimento con |
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Come raggiungere il luogo di inizio percorso:
da Foggia prendere la SS 89 Foggia-Manfredonia quindi girare dopo 7 km in direzione San Marco in Lamis sulla SP 26, si giunge prima a Borgo Celano e poi a San Marco in Lamis dopo 50 km; arrivati all’Ospedale di San Marco in Lamis si imbocca la SP 48 in direzione di Sannicandro Garganico e dopo 15 km, si gira a sinistra per una piccola strada asfaltata in direzione di Castel Pagano.
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AVVERTENZE:
-- anche se il percorso è semplice e breve, si richiede esperienza e buon allenamento!
-- Previsioni meteo: comunicate il venerdì precedente la partenza, in sede.
a) I direttori di escursione si riservano di modificare in tutto o in parte l'itinerario in considerazione delle condizioni meteorologiche;
b) gli accompagnatori si riservano di escludere dalla propria escursione i partecipanti non adeguatamente attrezzati ed allenati;
c) condizioni fisiche: a ciascuno dei partecipanti viene richiesta buona preparazione fisica e senso di responsabilità. |
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Modalità e costi: |
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Per i non soci: assicurazione obbligatoria pari a € 12,00. |
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DESCRIZIONE DEL TERRITORIO
Castel Pagano è una rocca fortificata situata a sud-ovest del promontorio del Gargano, in località Coppe di Monte Castello (685 m) a circa 545 m slm, in una posizione strategica, che consente una visione meravigliosa verso i monti del Molise da una parte e su tutto il Tavoliere dall’altra. La data della sua costruzione è incerta, ma sembra aver avuto almeno due vite: sorto nella seconda metà dell’IX secolo, andò distrutto nel 1137 da Lotario III, per essere poi ricostruito e fortificato da Federico II, il quale lo affidò ad una guarnigione di fidi Saraceni, da cui potrebbe derivare la denominazione; si pensa possa essere antecedente persino alla costruzione di Apricena, quindi la seconda metà del IX secolo. In seguito il borgo fu feudo di Manfredi, figlio di Federico II e fondatore di Manfredonia e più tardi fu devoluto ai re per diritto regio. Nel 1496 re Ferdinando lo donò a Ettore Pappacoda di Napoli che donò splendore a tutta la zona facendo erigere anche il Santuario di Stignano nel 1515; estinta tale famiglia, tornò al regio demanio. Il 10 marzo 1580 Antonio Brancia, da cui il prende il nome la località sottostante, lo comperò da Filippo II per 90mila ducati. Nel 1732 fu dei Mormile, poi lo comperò Don Garzia di Toledo e da questi, nel 1768, il Principe Cattaneo di Sannicandro. Sicuramente fu soggetto a diversi terremoti, testimoniati da documenti nei quali è narrata la vicenda del 1627 quando Apricena e dintorni subirono enormi danni. Il borgo fu abbandonato gradualmente all’inizio del seicento per il trasferimento degli abitanti ad Apricena, probabilmente a causa della gran penuria d’acqua ed in seguito il complesso fu soggetto allo sciacallaggio dei pastori locali che prelevarono le pietre della struttura per costruire i loro rifugi nella sottostante valle di Sant’Anna. Nei dintorni del castello vi sono innumerevoli anfratti e grotte, ricordiamo quella della Lia, rifugio di briganti nel XIV° secolo. Nei dintorni sono stati trovati diversi reperti, alcuni anche antecedenti all’era medievale e nella ristrutturazione, sono rinvenuti resti umani quasi a testimoniare la presenza di un cimitero e di conseguenza a confermare la presenza del borgo. Attualmente i ruderi consistono in un lungo muro, alto non più di un metro e mezzo con due aperture che furono molto probabilmente due porte. Questo muro fa angolo a sinistra con un resto di fabbrica brevissimo, mentre a destra è unito con una possente torre circolare che non supera i cinque metri d’altezza. Da questa torre parte una muraglia continua lievemente scarpata a picco sulla valle sottostante. Un terzo muro chiude a sud il quadrilatero. In un angolo si erge il mastio, la torre maggiore a cinque facce, alta circa sei metri visibile dal Tavoliere delle Puglie. La zona conserva ciò che resta dell’antico bosco di latifoglie, con prevalenza di Cerro, Leccio, Acero Campestre, Olmo Campestre, oltre che delle colonie di Inula Candida, una specie botanica protetta, che insieme alla Primula Garganica caratterizza tutto il Gargano. |
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DESCRIZIONE DEL PERCORSO
Percorso semplice, lasciate le auto e percorso un tratto in piano si sale costantemente e dopo circa 50 minuti si giunge fino alla cresta garganica, che si affaccia dal Gargano ovest verso il Tavoliere e alle spalle, verso nord est, sulle isole Tremiti; di fronte avremo Castel Pagano che raggiungeremo dopo altri 40 minuti di cammino. Potremo al ritorno raggiungere in breve la Dolina Pozzatina, la più imponente e spettacolare d’Europa, profonda 132 metri, ha un perimetro superiore di 1.836 metri e un perimetro inferiore di 522 metri.
Esistono alcune leggende attorno alle rovine di questo castello. Una cristiana che racconta di una fantastica battaglia tra il maligno e l'Arcangelo Michele che si tenne nella valle di Stignano. Naturalmente l'Arcangelo sconfisse il maligno che aveva preso le sembianze di un gigantesco serpente. Del maligno serpente restarono due ossa, successivamente portate al Santuario di Stignano. Un'altra con un risvolto più romantico e tragico che assume più l'aspetto di una storia fiabesca. Questa racconta di un principe saraceno Mohan signore di Castelpagano che si era perdutamente innamorato di una incantevole principessa cristiana, Dolcebruna che viveva su un castello situato sul Monte della Donna. La famiglia della fanciulla, che non voleva dare in sposa la propria figlia ad un saraceno, per ovviare all'inconveniente matrimonio escogitò uno stratagemma: finché il principe non avesse costruito un ponte fatto con pelli di animale che congiungesse il monte della Donna sino a Castelpagano, non avrebbe avuto in sposa la fanciulla. Mohan, fece utilizzare tutto il materiale disponibile nel suo territorio. Centinaia di animali vennero sacrificati per ricavarne cinghie di cuoio e intere boscaglie vennero abbattute per farne dei tronchi di sostegno, tanto da trasformare la montagna in una pietraia brulla e sterile, senza più risorse utili alla vita. Finito il materiale, il ponte di cuoio rimase incompiuto e i sudditi, affamati, abbandonarono il loro signore saraceno al suo destino. Così Mohan si lasciò morire rimanendo sulla cima della rocca. Tutto ciò, non ha nulla di fondato, anche se vi sono alcuni riscontri storici. Uno dei tanti è il fatto che nella zona ci fu davvero l'influenza dei saraceni, tanto che l'imperatore Federico II che militava in quelle zone aveva un corpo di guardia esclusivamente saracena. Invece il fatto più assurdo è che, come sappiamo, sul monte della Donna non vi è alcun castello, ma la leggenda ha un fondo di verità. Prima del monte vi è una piana rialzata chiamata Volta Pianezza dove apparentemente non si scorge nulla, ma invece su quel ripiano sorgeva una torre di avvistamento semicircolare ormai diroccata, di cui si scorge solo il perimetro murario. |
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Scheda Tecnica |
Cartografia |
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